L’ombra del Big Ben sul risorgimento italiano: come la storia scritta dai vincitori

Ad un certo punto della mia vita ho capito cosa significa effettivamente quello che, dalle maestrine delle elementari ai professori universitari, mi sono andati ripetendo nel corso della mia formazione: la storia la scrivono i vincitori.

Una cosa che non ci viene mai in mente, nonostante il monito dei docenti, è quello di mettere in discussione la storia che a quel punto ci veniva raccontata dagli stessi insegnanti che ci ammonivano con la storia la scrivono i vincitori.

La storia è la menzogna comunemente accettata

Voltaire

Ci ho messo un poco, debbo confessare, a riconsiderare tutto quello che mi è stato proposto come verità, ma più che come si è evoluta questa mia percezione, penso sia più interessante (nell’ambito di questo post) sapere come tutto ciò è cominciato.

Tutto è cominciato quando il brillante e compianto Professore Pasquale Schiappa (di Mondragone CE), nell’ambito di un progetto scolastico, ci fece fare una ricerca sul brigantaggio post-unitario. All’epoca non era diffuso internet e accedere a notizie e informazioni non ufficiali (e quindi non scritte dai vincitori!) era veramente molto difficile; tuttavia grazie alla guida del nostro docente riuscimmo brillantemente, con la mia classe del Liceo Scientifico, a creare una mostra documentaria che illustrava tanto i fatti storici concernenti la così detta unità di Italia, quanto il ruolo dei briganti, che emersero più che criminali, come dei patrioti che difendevano la propria terra.

Fu così che feci la conoscenza di un fenomeno così mal posto nei libri di storia e di numerosi nomi e volti di briganti, quali Carmine Crocco, Ninco Nanco e perfino numerose donne, che imbracciarono le armi contro il regio esercito della neonata Italia unita.

C’è un intero elenco di briganti in questa pagina di Wikipedia; se gli date un’occhiata noterete la presenza di molte donne combattenti e briganti in tutte le regioni principali dello stivale!

Nonostante le notizie che studiassi sul fenomeno del brigantaggio, fossero antitetiche rispetto a quello che mi veniva insegnato a scuola, per me è stato piuttosto naturale riconsiderare a quel punto tutte le conoscenze che avevo maturato ed è un processo che, per fortuna, è parte integrante della mia personalità.

Tutte le strade portano a … London

Sotto un titolo del genere ci sarebbero una marea di cose da dire, troppe per un singolo post. Mettiamola così, questa città sul Tamigi ricorre spessissimo quando si studia l’Italia del periodo post-napoleonico, perché la sua influenza è stata davvero enorme.

Massonerie, famiglie di potere, finanziamenti cospicui, debiti da risanare contratti dalla casata savoiarda con chi in passato aveva finanziato contemporaneamente Napoleone e Wellington (leggasi Rothshield), sono alcune delle cose di cui dovrei parlare, tuttavia l’obiettivo del post non è quello di fare un trattato di storia.

Pertanto limitiamoci a dire che dal punto di vista storico, quindi della letteratura, poesia, arte e quant’altro concorra a plasmare idee, la “City” di Londra è stata enormemente influente in tutta Europa, mezzogiorno di Italia incluso.

Ho chiesto all’intelligenza artificiale di farmi una panoramica tra le relazioni di alcuni personaggi quali Garibaldi, Foscolo, Mazzini e Guillet (un militare) e Londra, leggete di seguito la sua ricostruzione.

Londra ha avuto un ruolo significativo nella vita di diverse figure storiche italiane, tra cui Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, Ugo Foscolo e Amedeo Guillet. Ecco i collegamenti tra Londra e ciascuno di questi personaggi:

Giuseppe Garibaldi

Garibaldi, uno dei principali eroi del Risorgimento italiano, visitò Londra nel 1864. Durante il suo soggiorno, fu accolto con entusiasmo dalla popolazione e da vari circoli politici. La sua visita fu un grande evento e consolidò i legami tra i movimenti liberali italiani e quelli britannici. Garibaldi fu celebrato come un eroe popolare e tenne discorsi che ispirarono molte persone.

Giuseppe Mazzini

Mazzini visse a Londra per diversi periodi durante il suo esilio. Londra fu un centro di attività politica per Mazzini, dove egli fondò la “Giovine Italia”, un movimento rivoluzionario che mirava all’unificazione e all’indipendenza italiana. La città gli offrì un rifugio sicuro dove poteva pianificare le sue attività rivoluzionarie e mantenere contatti con altri esiliati politici e sostenitori della causa italiana. La sua casa a Londra divenne un punto di riferimento per i patrioti italiani.

Ugo Foscolo

Ugo Foscolo, il celebre poeta e scrittore italiano, si stabilì a Londra nel 1816 dopo aver lasciato l’Italia. A Londra, Foscolo trovò un ambiente intellettuale stimolante e si dedicò alla scrittura e alla traduzione di opere letterarie. La città divenne la sua dimora fino alla morte nel 1827. Durante il suo soggiorno, scrisse alcune delle sue opere più importanti e influenzò notevolmente la cultura letteraria italiana.

Amedeo Guillet

Anche se meno noto rispetto agli altri, Amedeo Guillet, conosciuto come il “Capitano Diavolo”, visse a Londra dopo la Seconda Guerra Mondiale. Guillet servì come addetto militare presso l’ambasciata italiana a Londra e successivamente intraprese una carriera diplomatica. La sua permanenza a Londra riflette il suo continuo servizio al paese in ruoli internazionali, anche dopo la fine delle sue imprese militari.

Penso che la propaganda e il revisionismo del vincitore, siano tutt’oggi attivi anche sui vari ChatGPT, Gemini e altri cervelloni di silicio, perché si parla in toni magnificanti di Giuseppe Garibaldi, che vi garantisco non essere percepito come un eroe nell’Italia meridionale, anzi.

Ad ogni modo da questo breve trafiletto prodotto dall’IA si evince che tutti i personaggi del risorgimento avevano a che fare con Londra, in un modo o nell’altro.

A parte Amedeo Guillet, che pare essere entrato nelle grazie inglesi per il suo valore militare e non certo per le sue prestazioni a favore della corona o della monarchia d’oltre manica, tutti il resto dei personaggi che studiamo a scuola, o quasi tutti, hanno avuto a che fare con la città all’ombra del Big Ben. Perché?

Mi sembra abbastanza scontato, dato il tenore del post, perché sono i vincitori, quelli che hanno plasmato l’attuale Italia.

Ricordo che di recente, Re Carlo Di Inghilterra, in visita al parlamento italiano ha dichiarato (e rivendicato) “Siamo orgogliosi di Garibaldi e del sostegno che l’Inghilterra ha dato all’unificazione italiana“, avvalorando ciò che i vari “complottisti” affermavano già da decenni e più.

L’influenza inglese è perdurata anche durante la seconda guerra mondiale, quando l’Italia fascista aveva slanci di emancipazione, con tante testimonianze di partigiani che erano supervisionati (e certamente supportati) da personale militare britannico.

Ad ogni modo, nel saggiare lo strumento rivoluzionario dell’IA, ho voluto incalzarlo.

C’è sempre da fidarsi dell’intelligenza artificiale? Fact checking!

Tuttavia il capitano di ventura in camicia rossa, potrebbe essere stato a sua volta circuito e buggerato dai suoi mandanti, in tal senso ho letto un articolo molto interessante su vesuviolive.it, vi consiglio di dargli un’occhiata.

Ad ogni modo mi è sembrato utile incalzare l’IA sul tema, in particolare su uno anche abbastanza controverso; pertanto ho domandato: “In che occasione Garibaldi ha perso le orecchie?”.

Giuseppe Garibaldi non ha mai perso le orecchie. Questo potrebbe essere frutto di una confusione o di una leggenda urbana. Garibaldi, uno dei più celebri eroi del Risorgimento italiano, ha certamente subito numerose ferite in battaglia durante la sua vita, ma non ci sono documentazioni storiche affidabili che riportano la perdita delle sue orecchie.

Garibaldi è noto per le sue imprese militari, tra cui la spedizione dei Mille e le battaglie per l’unificazione italiana. Ha combattuto in numerose campagne e ha affrontato molti rischi, ma la storia della perdita delle orecchie non è accurata.

Se ha ulteriori domande o ha bisogno di chiarimenti su un altro argomento, sono qui per aiutare.

A quel punto ho fatto un poco di ricerca per vedere se c’erano o non c’erano fonti storiche a riguardo e le ho trovate.

C’è infatti un romanzo scritto da Garibaldi “Clelia: il Governo dei Preti”, in cui egli stesso parla del suo orecchio mutilato? Per tanto ho chiesto all’IA se conoscesse il libro. Ecco la risposta:

Sì, “Clelia, ovvero Il governo dei preti” è un romanzo scritto da Giuseppe Garibaldi nel 1870. Questo romanzo è una delle opere letterarie di Garibaldi e riflette le sue idee politiche e sociali, soprattutto la sua critica alla Chiesa cattolica e al clero.

Il libro è ambientato nel contesto delle lotte risorgimentali per l’unificazione italiana e racconta la storia di Clelia, una giovane donna coinvolta nelle vicende politiche e sociali del tempo. Attraverso la narrazione, Garibaldi esprime il suo disappunto nei confronti dell’influenza del clero sulla politica e sulla società italiana, proponendo invece ideali di libertà e progresso.

“Clelia” rappresenta un tentativo di Garibaldi di usare la narrativa per diffondere i suoi ideali e criticare il potere temporale della Chiesa, un tema che era particolarmente rilevante nel periodo del Risorgimento.

Bene quindi la mia domanda successiva è stata: “Ok e non ti risulta che sia Garibaldi stesso a parlare del suo pezzo di orecchio sinistro? Quindi come fai a dire che non ci sono fonti storiche circa il fatto che avesse perso una parte dell’orecchio sinistro?”

Hai ragione, mi scuso per l’errore. Effettivamente, Giuseppe Garibaldi racconta di aver perso una parte del lobo dell’orecchio sinistro durante una delle sue campagne militari. Questo episodio è narrato nelle sue memorie, dove descrive le numerose ferite subite in battaglia.

Garibaldi fu ferito diverse volte nel corso della sua carriera militare, e il pezzo di orecchio perduto è uno degli episodi che testimoniano il suo coraggio e la sua dedizione alla causa dell’unificazione italiana e della libertà. Questo dettaglio viene spesso citato per illustrare le dure condizioni e i rischi che Garibaldi affrontava durante le sue campagne.

Al ché gli ho chiesto: “C’è stato qualche figlio di Garibaldi che ha preso parte al fenomeno del brigantaggio post-unitario?”

Sì, uno dei figli di Giuseppe Garibaldi, Ricciotti Garibaldi, ha avuto un certo coinvolgimento in attività che possono essere associate al brigantaggio post-unitario, anche se non nel senso tradizionale del termine.

Ricciotti Garibaldi

Ricciotti Garibaldi, il quarto figlio di Giuseppe Garibaldi e Anita Garibaldi, è noto per aver partecipato a numerose campagne militari non solo in Italia ma anche all’estero. Dopo l’Unità d’Italia, Ricciotti fu coinvolto in varie imprese militari e politiche. Uno degli episodi più noti del suo coinvolgimento in attività “irregolari” fu la sua partecipazione alla repressione del brigantaggio nel Sud Italia.

Nel 1868, Ricciotti Garibaldi fu incaricato di combattere i briganti nelle regioni meridionali dell’Italia. Tuttavia, la sua azione si distinse per un approccio che combinava la durezza militare con tentativi di comprensione delle ragioni sociali ed economiche che alimentavano il brigantaggio. La sua posizione era influenzata dall’idea garibaldina di giustizia sociale, che cercava di affrontare le cause profonde del brigantaggio, come la povertà e l’ingiustizia sociale, piuttosto che limitarsi alla mera repressione.

Attività Militari e Politiche

Ricciotti Garibaldi continuò la tradizione del padre

intraprendendo diverse spedizioni militari. Alcune delle sue attività più significative includono:

  1. Guerra Franco-Prussiana (1870-1871): Partecipò alla difesa della Repubblica Francese contro la Prussia, combattendo al fianco di suo padre.
  2. Guerra Greco-Turca (1897): Guidò una legione di volontari italiani a sostegno della Grecia contro l’Impero Ottomano.
  3. Impresa di Fiume (1919-1920): Sebbene più tardi rispetto al brigantaggio post-unitario, Ricciotti supportò Gabriele D’Annunzio nella presa della città di Fiume.

Brigantaggio Post-Unitario

Il brigantaggio post-unitario fu un fenomeno complesso, caratterizzato da bande armate che operavano nel Sud Italia contro il nuovo governo italiano. Mentre il termine “brigante” è spesso associato a banditi e fuorilegge, molti briganti erano considerati da parte della popolazione locale come eroi che resistevano contro le ingiustizie del nuovo stato unitario.

Ricciotti Garibaldi, pur non essendo un brigante, si trovò a interagire con questo fenomeno nel tentativo di stabilizzare il Sud Italia. La sua azione fu parte della più ampia strategia del governo italiano per consolidare il controllo nelle regioni meridionali, anche se con un approccio meno brutale rispetto ad altre figure dell’esercito regio.

In sintesi, sebbene Ricciotti Garibaldi non fosse un brigante, il suo coinvolgimento nella repressione del brigantaggio e le sue attività militari irregolari lo posizionano in un contesto storicamente correlato a questi eventi tumultuosi del periodo post-unitario.

C’è da dire che la risposta, molto confortante, ben scritta e sostanzialmente ritraente un Ricciotti Garibaldi fuori da dinamiche di ribellione al potere sabaudo è, ancora una volta, non corretta. Non lo dico io, lo dice una Garibaldi, guardate voi stessi il video.

Testimonianza della pro-nipote di Giuseppe Garibaldi, nipote di suo figlio Ricciotti Garibaldi (lo trovi anche su youtube).

Morale della favola? Cambia il mondo, cambiano gli strumenti, ma il potere è sempre lo stesso, usa la menzogna per legittimarsi e lo scherno (nel migliore dei casi) verso coloro che vogliono far emergere la verità.

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